Quando e perché andare dall’Urologo
La prevenzione e la diagnosi precoce rivestono un ruolo sempre più importante nella Medicina moderna. In particolare nel campo dell’Urologia, la diagnosi precoce è alla base di molti successi terapeutici. Non bisogna attendere l’insorgenza dei sintomi per andare dall’Urologo. Quando si fa parte di una categoria a rischio, per età, abitudini di vita o altro, fare la prevenzione significa escludere la presenza di patologie nascoste, o permetterne la diagnosi quando sono ancora in fase iniziale, e perciò più facilmente debellabili.
Diagnosticare precocemente una neoplasia dell’apparato uro-genitale può significare non solo aumentare in modo esponenziale le percentuali di guarigione, ma anche risparmiare al paziente interventi chirurgici e terapie fortemente impegnative. Ma anche per patologie meno gravi la diagnosi precoce può avere un impatto significativo sui risultati clinici. Ad esempio la diagnosi precoce di una ostruzione cervico-uretrale (OCU) da Iperplasia Prostatica Benigna (IPB) può permettere alla terapia medica di evitare le complicanze (ritenzione urinaria acuta) e procrastinare l’intervento chirurgico.
LE PATOLOGIE PROSTATICHE
La prostata è una ghiandola che fa parte dell’apparato genitale maschile e produce, insieme alle vescicole seminali, buona parte del liquido seminale. La sua posizione anatomica, a circondare il collo vescicale e l’uretra, le attribuisce un ruolo anche nelle funzioni del basso apparato urinario, ruolo che diventa importante nella patologia conosciuta come Iperplasia Prostatica Benigna. Nel giovane la prostata ha la forma e le dimensioni di una piccola castagna, ma con il progredire dell’età va incontro ad un processo di progressivo e più o meno rapido ingrossamento, che ne modifica forma e dimensioni e che, comprimendo l’uretra ed il collo vescicale, ne può determinare l’ostruzione, impedendo un corretto svuotamento vescicale (Ostruzione Cervico Uretrale - OCU).
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L’Iperplasia Prostatica Benigna (anche Ipertrofia Prostatica, Adenoma Prostatico) è una patologia molto frequente nel maschio adulto anziano (dalla quinta decade in poi) caratterizzata da un progressivo aumento volumetrico della porzione centrale della prostata. Non necessita di trattamento fino a quando non determina una OCU. Soprattutto, non deve essere confusa con la patologia neoplastica che può colpire la prostata e cioè con il carcinoma prostatico.
I sintomi più frequenti e specifici sono :
1) Attesa prolungata prima di iniziare la minzione.
2) Progressivo indebolimento del getto urinario
3) Aumento della frequenza minzionale diurna e notturna.
4) Incapacità di differire la minzione.
5) Minzione difficoltosa con necessità di utilizzare la spinta addominale
6) Senso di incompleto svuotamento vescicale
La complicanza più importante della OCU da IPB è la Ritenzione urinaria (acuta e/o cronica), cioè l’incapacità totale o parziale di vuotare la vescica. Il rischio di manifestare una ritenzione è direttamente proporzionale al grado di ostruzione (OCU) e meno direttamente alle dimensioni prostatiche. La ritenzione urinaria è spesso complicata dalle infezioni urinarie e, se non trattata, a lungo andare può progredire sino a compromettere la funzionalità renale.
Quali esami eseguire :
Gli esami necessari per inquadrare la IPB sono:
• Urinocoltura ( per escludere la presenza di infezioni)
• Esplorazione rettale e dosaggio del PSA (importanti nella differenziazione tra iperplasia prostatica e tumore della prostata).
• Ecografia dell’apparato urinario ( per escludere la presenza di calcoli, anomalie dei reni o della vescica, dilatazione delle alte vie urinarie o ristagno di urina in vescica) e, in particolare, l’Ecografia prostatica, che si esegue con sonda transrettale e consente la valutazione dettagliata della prostata, delle vescicole seminali e delle strutture adiacenti)
• Uroflussometria (L’esame consiste nella misurazione del flusso minzionale e si esegue mingendo in un particolare imbuto collegato ad un apposito strumento elettronico).
Terapia Medica
Lo schema terapeutico ad oggi piùefficace è l’associazione di Inibitori della 5-alfareduttasi (finasteride e dutasteride) ed Alfa-bloccanti (doxazosina, terazosina, alfuzosina, tamsulosina). I primi sono farmaci che agiscono riducendo il volume della ghiandola prostatica inibendo uno specifico enzima coinvolto nella stimolazione della crescita cellulare. La loro efficacia si manifesta in un periodo compreso fra i 6 e 12 mesi di terapia. Gli effetti collaterali più comuni sono il calo della libido e la riduzione dell’eiaculato. Gli Alfa bloccanti determinano un rilassamento della muscolatura liscia del collo vescicale e dell’ uretra prostatica favorendo il passaggio dell’urina nel tratto di uretra che si restringe a causa dell’aumento di volume dei lobi prostatici, e hanno un’azione che si manifesta nel giro di ore per stabilizzarsi entro alcuni giorni. Gli effetti collaterali più frequenti sono i cali di pressione (senso di stanchezza e/o capogiri) e l’eiaculazione retrograda (lo sperma refluisce in vescica invece che venire emesso all’esterno). Tutti questi disturbi regrediscono totalmente alla sospensione del farmaco.
Terapia Chirurgica
La scelta del tipo di procedura chirurgica a cui sottoporre il paziente affetto da OCU da IPB dipende principalmente dalle dimensioni dell’adenoma prostatico da rimuovere. La Resezione endoscopica (trans uretrale) della Prostata (TURP) è l’intervento di riferimento ed il più eseguito al mondo nei pazienti con iperplasia prostatica benigna. Non necessita di incisioni chirurgiche. L’indicazione alla TURP dipende dalle dimensioni dell’adenoma, dalla tecnica eseguita e dall’esperienza del chirurgo. Per IPB troppo voluminose ancora oggi si può porre indicazione all’intervento classico a cielo aperto (Adenomectomia prostatica trans vescicale) che consiste nella rimozione del tessuto adenomatoso, mediante l’apertura della vescica. La degenza post-operatoria è generalmente più lunga rispetto alla TURP ed anche il tempo del cateterismo fisso. Effetto collaterale praticamente costante dopo entrambi gli interventi è l’eiaculazione retrograda. Il rischio di reintervento per recidiva di IPB è inferiore al 10%, in particolare per gli adenomi più voluminosi.
Il Carcinoma Prostatico
Il rischio per una neoplasia della prostata aumenta progressivamente dopo i 45 anni, e quando compaiono i sintomi il processo morboso è spesso già in atto da qualche anno. E se nel caso delle patologie benigne (ostruttive) ciò non pregiudica le possibilità di cura, quando parliamo delle patologie neoplastiche il discorso cambia radicalmente. Infatti queste ultime spesso si manifestano solo quando sono già in fase metastatica, e ciò ci porta a trattare un paziente senza possibilità di guarirlo, quando una diagnosi precoce avrebbe dato grosse chances di guarigione. Le statistiche degli ultimi 10 anni ci dicono che questa malattia è in aumento, fino a rappresentare il secondo tumore maligno diagnosticato nel maschio dopo i 60 anni. Le cause che favoriscono lo sviluppo del tumore prostatico non sono ancora del tutto note anche se fattori genetici, ambientali e alimentari sono probabilmente implicati. L’esplorazione rettale, l’ecografia prostatica trans rettale ed il dosaggio del PSA ci permettono di sospettare la presenza di una neoplasia o di escluderla (con un’accuratezza del 95%). La biopsia prostatica ecoguidata ci fornirà la conferma istologica della neoplasia. Prima che il medico possa consigliare la cura più adeguata, è necessario completare lo studio (stadiazione) della malattia per escludere la presenza di ripetizioni a distanza con una TAC o risonanza magnetica nucleare (RMN) dell’addome, la scintigrafia ossea, ed uno studio del parenchima polmonare (TAC o Radiografia).
Terapia
Vi sono diverse alternative terapeutiche per questa malattia. La scelta va modulata sulla base di diversi parametri quali i valori di PSA alla diagnosi, l’estensione della malattia (locale o sistemica), alcuni dati bioptici (numero di prelievi positivi, Gleason score, ecc.) e l’aspettativa di vita del paziente (desunta approssimativamente dall’età e dalla presenza di eventuali altre patologie concomitanti).
Per neoplasie limitate alla prostata l’intervento chirurgico e la radioterapia sono le terapia consigliate; in caso di malattia già in fase metastatica si utilizzano farmaci che agiscono con meccanismo ormonale.L’intervento chirurgico (prostatectomia radicale) che prevede l’asportazione totale della prostata, delle vescichette seminali e, in alcuni casi, dei linfonodi, la legatura dei deferenti e l’anastomosi (unione per mezzo di punti di sutura) fra vescica e uretra, si può eseguire a cielo aperto, con un’incisione dall’ombelico al pube (tecnica retropubica) o tra l’ano e i testicoli (tecnica transperineale), oppure con la più recente tecnica laparoscopica.
Non esiste a tutt’oggi prova statistica di superiorità di una tecnica sull’altra per quanto riguarda le percentuali di guarigione. Effetti collaterali comuni a tutte le tecniche sono l’incontinenza urinaria e il deficit erettile (impotentia erigendi), peraltro in netta riduzione grazie al miglioramento delle procedure che consentono il risparmio dei nervi che passano vicino alla prostata e grazie ai protocolli di riabilitazione sessuale ed urinaria indicati durante la convalescenza.
La Radioterapia può essere effettuata con fasci esterni o con dei “semi” radioattivi inseriti nella prostata (brachiterapia). In casi selezionati la radioterapia può venire associata alla terapia ormonale. Quest’ultima può costituire anche la principale opzione terapeutica (in caso di malattia metastatica) ed è rappresentata dall’impiego di farmaci che impediscono la produzione di testosterone da parte dei testicoli (LH-RH analoghi) somministrati per via sottocutanea o intramuscolare) o che impediscono al testosterone di agire sulle cellule prostatiche (antiandrogeni) somministrati in pastiglie. Scopo di tale terapia è quello di rimuovere il principale stimolo alla crescita del tumore rappresentato dal testosterone. Qualsiasi cura venga effettuata il paziente deve sottoporsi a controlli periodici, con frequenza stabilita dallo specialista in base allo stadio della malattia e al tipo di terapia. I controlli si basano regolarmente sul dosaggio del PSA e sulla visita rettale, ai quali si aggiunge, periodicamente la ripetizione di alcuni degli esami eseguiti durante la stadiazione pre-operatoria.
PATOLOGIE VESCICALI : LE NEOPLASIE
Ormai è scientificamente provato che il fumo di sigaretta è uno dei maggiori responsabili dello sviluppo di neoplasie dell’apparato urinario, in particolare della vescica (il rischio per i fumatori è triplicato). A rischio, e quindi meritevoli di una più attenta sorveglianza, sono anche i lavoratori di alcune industrie quali quelle chimiche, tipografiche, dei coloranti, della gomma, del petrolio e dei pellami. Il carcinoma della vescica è il secondo tumore più comune tra quelli in ambito urologico. All’atto della diagnosi circa l’80% di queste neoplasie interessano solo gli strati più superficiali della parete vescicale: mucosa (Ta/Carcinoma in situ) o lamina propria (T1). Il restante 20% circa dei pazienti presenta all’esordio una malattia che infiltra gli strati più profondi (la muscolatura o la sierosa) (T2/T3), o è estesa al di fuori della vescica (T4). I tumori che interessano le vie urinarie alte (uretere, bacinetto, calici) sono molto più rari di quelli vescicali.
Diagnosi
Il sintomo più frequente con cui si manifesta un tumore vescicale è l’ematuria (presenza di sangue nelle urine), generalmente senza dolore o bruciore minzionale. In altri casi i sintomi possono essere simili a quelli di un’infezione urinaria, quali l’aumento della frequenza e l’urgenza minzionali. L’indagine di prima scelta è l’ecografia (renale e vescicale), alla quale va associata la citologia urinaria, ovvero lo studio morfologico delle cellule che vengono eliminate con le urine. Il riscontro di una citologia urinaria negativa non esclude comunque la presenza di un tumore a basso grado. L’uretrocistoscopia è indicata nei casi dubbi e permette di studiare le pareti interne della vescica. E’ generalmente ben tollerata dai pazienti con l’uso di gel anestetico per lubrificare l’uretra. Nel caso in cui la neoplasia venga confermata, è necessario stadiare la malattia, cioè studiare le alte vie urinarie, lo stato dei linfonodi (TAC addome con MdC), il parenchima polmonare (Rx o TAC) e lo scheletro osso (scintigrafia).
Terapia
La gestione corretta di una neoplasia vescicale richiede innanzitutto la conoscenza dello stadio di infiltrazione della parete vescicale (Ta-4) e del grado di istologico della neoplasia (G1-3). Il trattamento iniziale della malattia è chirurgico, e consiste nella resezione endoscopica della neoplasia (TURV), cioè nell’asportazione della o delle neoformazioni endovescicali tramite uno strumento (resettore) che viene inserito in vescica attraverso l’uretra. L’esame istologico del tessuto asportato con la TurV ci fornirà le ultime informazioni necessarie (grado e stadio) per impostare le successive terapie.
Neoplasie Superficiali
Nel caso di tumori che non infiltrano la tonaca muscolare della vescica (Ta-T1), l’intervento endoscopico ha una valenza sia diagnostica che terapeutica. Il rischio di recidiva locale è molto alto dopo la sola TURV. La probabilità di sviluppare una recidiva dipende da molti fattori quali principalmente la profondità di infiltrazione (T), il grado di differenziazione della neoplasia (G), il numero e la dimensione dei tumori, e la presenza o meno di Carcinoma in Situ (Cis). Inoltre la recidiva potrebbe presentarsi con un grado istologico e/o di infiltrazione maggiori. In considerazione di quanto appena detto, i pazienti con tumore vescicale non infiltrante la tonaca muscolare, che presentino un elevato rischio di recidiva e/o di progressione, devono essere sottoposti dopo la TURV ad ulteriori terapie, nella fattispecie locali, e cioè alla instillazione endovescicale di sostanze chemio o immunoterapiche. Con l’associazione della TurV e delle terapie endovescicali (in particolare di quella immunoterapia con BCG) si possono ottenere percentuali di guarigione superiori al 70%. Il paziente trattato per una neoplasia superficiale dovrà eseguire cistoscopie periodiche per un tempo variabile a seconda della stadiazione. Ai fini della guarigione è però indispensabile che si smetta di fumare, visto la diretta relazione tra fumo di sigaretta e frequenza delle recidive.
Neoplasie infiltranti
Nel caso di pazienti con tumore vescicale infiltrante la tonaca muscolare o oltre (T2-4), o per quei tumori superficiali a rischio di progressione che non rispondono alle terapie endovescicali, il trattamento prevede, dopo la TurV, l’esecuzione di un intervento più demolitivo, la Cistectomia Radicale con derivazione urinaria (esterna o interna con confezione di neovescica). Nell’uomo l’intervento prevede l’asportazione della vescica e della prostata, mentre nella donna oltre alla vescica vengono asportati l’utero, le ovaie e parte della vagina L’intervento può essere eseguito a cielo aperto oppure, in casi molto selezionati, con la tecnica laparoscopica. Nel maschio, all’intervento consegue una perdita dell’erezione che può comunque essere recuperata con particolari presidi. L’intervento di cistectomia viene spesso associato alla chemioterapia sistemica o alla Radioterapia. In casi selezionati la Radioterapia può anche essere associata alla TurV.
La maggior parte delle derivazioni urinarie prevedono l’impiego di un tratto di intestino, per cui è necessario che il paziente venga periodicamente controllato, per monitorizzare la funzione renale, escludere infezioni urinarie, squilibri metabolici ed altre possibili evenienze. Il Follow up di questi pazienti dovrà essere meticoloso e a lungo termine, perchè le recidive possono manifestarsi anche molto tempo dopo l’intervento ed il termine delle eventuali terapie post operatorie. Saranno quindi necessari controlli (stadiazione) periodici per escludere recidive della malattia, locali o a distanza, esaminando gli organi più a rischio (Ecografia, TAC, Scintigrafia, etc.).
E, ancora una volta, i pazienti fumatori dovranno smettere di fumare. |