line decor
  
line decor
 
 
 
 

06.3217999 (solo per appuntamento)
329.4160717 (anche per brevi quesiti)


Biopsia Prostatica : ultimo step nella diagnosi del PCa

L’incidenza dell’Adenocarcinoma Prostatico è notevolmente aumentata negli ultimi 10-15 anni, al punto da rappresentare in Occidente la neoplasia più frequente tra i maschi. Ciò è dovuto principalmente all’aumento dei protocolli di screening che utilizzano il dosaggio ematico del PSA, grazie ai quali si eseguono diagnosi con un anticipo di 5-10 anni sulla comparsa dei sintomi.
La finalità di questi protocolli è identificare malattie aggressive in uno stadio ancora curabile. E in effetti, nelle ultime 2 decadi, vi è stato un notevole aumento di diagnosi precoci, che ha portato alla cosiddetta “migrazione dello stadio”, cioè all’aumento del numero delle neoplasie diagnosticate in una fase ancora localizzata e, pertanto, curabile (dal 20/30% dell’era pre PSA all’attuale 70/80%).
Ma, il solo PSA non è sufficiente per escludere o confermare la presenza di una neoplasia prostatica : sono sempre necessari l’esame clinico (visita con esplorazione rettale) e l’ecografia prostatica transrettale. In alcuni casi può essere necessaria anche la Risonanza Nucleare Magnetica. Non va inoltre dimenticato che i valori del PSA possono risultare innalzati in seguito ad eventi aspecifici, quali l’ecografia transrettale, una flogosi/infezione prostatica (prostatite), l’ostruzione minzionale provocata da un’Ipertrofia Prostatica, e finanche la stessa visita.

Da poco è disponibile anche un altro test, che si esegue sulle urine (il PCA3) e che rappresenta un ulteriore ausilio per la diagnosi di questa neoplasia.

L’unica indagine che permette la diagnosi pressoché definitiva è la Biopsia Prostatica, procedura della quale si è, però, un po’ abusato negli ultimi anni. Si tratta di una procedura invasiva (anche se minimamente) che necessita di un’anestesia locale; si esegue per via perineale (preferibilmente) o transrettale, sotto controllo ecografico con una sonda transrettale. Va considerata come ultimo “step” dell’iter diagnostico, atto a escludere o confermare una neoplasia che le altre indagini, non invasive, fanno sospettare in modo concreto.
La percentuale di biopsie positive nella cosiddetta “area grigia” dei valori di PSA (tra 4 e 10 ng/ml) si aggira intorno al 30%, che dimostra come in oltre la metà dei casi non vi sia indicazione ad eseguirla. In alcuni casi la biopsia può essere finanche pericolosa : infatti in caso di infezioni prostatiche misconosciute (o non indagate !) è concreto il rischio di grave sepsi locale o sistemica. E’ pertanto eccessivo (e in alcuni casi rischioso) procedere direttamente con la biopsia prostatica di fronte al solo aumento del PSA.
La sfida ora è quella di distinguere tra le neoplasie realmente aggressive, che richiedono una terapia precoce, e quelle indolenti, che non richiedono trattamento immediato, ma la cui diagnosi può avere il peso di una sentenza per il paziente, con tutte le implicazioni psicologiche che ne derivano.
Nei prossimi anni dovremo rispondere ad alcune importanti domande :
•     Qual’è l’approccio migliore per lo screening e la diagnosi precoce del tumore della prostata ?
•     Come possiamo ridurre l’eccesso diagnostico e, di conseguenza, l’eccesso terapeutico ?

•     Come possiamo identificare i pazienti con malattia indolente, che non necessitano di un trattamento aggressivo,
ma che beneficerebbero di una “sorveglianza attiva o di una “ terapia focale” ?               


 

 

 

Hai delle domande? Scrivimi